Il news blackout è una strategia giornalistica in cui certi eventi, fatti o temi vengono deliberatamente ignorati, lasciando il pubblico all’oscuro. Questo può avvenire per vari motivi, tra cui pressioni politiche, interessi economici o linee editoriali specifiche. Diversamente, il selective reporting implica la presentazione di solo una parte delle informazioni, privilegiando certi dettagli e omettendo quelli che potrebbero offrire una visione più completa o diversa della realtà. Entrambi i fenomeni contribuiscono a una distorsione della percezione pubblica.
Importanza dell’informazione completa e imparziale
Un’informazione imparziale e completa è fondamentale per una società informata e democratica. Senza accesso a tutte le informazioni rilevanti, il pubblico rischia di formarsi opinioni basate su dati incompleti o, peggio, manipolati. Questo può influire su decisioni politiche, sociali ed economiche, minando la capacità critica dei cittadini e rendendoli più vulnerabili a influenze esterne. In un’epoca in cui le informazioni sono facilmente accessibili, l’omissione deliberata diventa un atto potente e pericoloso.
Obiettivi dell’articolo
L’obiettivo di questo articolo è analizzare l’impatto di news blackout e selective reporting nel giornalismo contemporaneo, evidenziando come questi fenomeni influenzino la percezione del pubblico e la comprensione della realtà. Mentre tutti parlano di fake news, soprattutto i giornalisti, quasi nessuno affronta il tema dell’omissione e della selezione delle notizie, che spesso non dipendono solo dalla linea editoriale, ma riflettono una visione del mondo condivisa. Così, alcuni argomenti vengono ignorati o trattati marginalmente perché non si allineano a una prospettiva considerata ‘comoda’ o prevalente.
L’articolo si propone di fornire esempi concreti, dati e statistiche per illustrare il fenomeno, e discutere le implicazioni etiche e sociali. Inoltre, verranno esplorate possibili soluzioni e proposte per promuovere un’informazione più trasparente e completa.
Un pò di numeri
62%: degli americani afferma che le notizie sono spesso più sensazionalistiche e orientate al conflitto che informative, secondo un sondaggio del Knight Foundation e Gallup del 2023 (knightfoundation.org).
71%: delle storie politiche coperte dai principali media statunitensi riguardano controversie e conflitti, mentre solo il 12% riguarda questioni politiche sostanziali, secondo uno studio del Pew Research Center del 2022 (pewresearch.org).
28%: è la percentuale di articoli che riportano dati scientifici o fonti ufficiali in notizie sulla crisi climatica, secondo il Reuters Institute del 2023, evidenziando una preferenza per articoli più sensazionalistici (reutersinstitute.politics.ox.ac.uk).
50%: degli intervistati in Europa ritiene che i media nazionali coprano in modo insufficiente temi globali importanti, concentrandosi troppo su questioni locali, secondo un’indagine dell’European Broadcasting Union del 2023 (op.europa.eu).
40%: percentuale degli americani che ritiene che i media nascondano informazioni importanti per favorire una specifica agenda politica, secondo uno studio del Pew Research Center del 2023. (Pew Research Center)
83%: quota delle testate esaminate in uno studio dell’Università di Oxford che tendono a omettere notizie su eventi internazionali rilevanti a favore di contenuti più popolari e a maggiore impatto locale. (Reuters Institute)
25%: proporzione delle principali testate globali che hanno trattato continuativamente la crisi climatica con un focus sugli studi scientifici, preferendo spesso coprire eventi estremi temporanei, secondo il Reuters Institute. (Reuters Institute)
58%: delle storie su argomenti controversi nelle principali reti TV statunitensi tendono a escludere contesti storici o analisi approfondite, limitandosi a riportare i fatti senza spiegazioni dettagliate, secondo uno studio di Media Insight Project del 2023 (mediareport.com).
44%: dei giornalisti ha riferito di sentirsi costretto a ridurre la copertura di questioni complesse per renderle più “consumabili” al pubblico, come emerso in un sondaggio dell’International Center for Journalists del 2022 (icfj.org).
37%: delle notizie su conflitti internazionali include una copertura completa con fonti indipendenti, mentre il restante 63% si basa su fonti ufficiali o governative, limitando spesso la varietà dei punti di vista, secondo un report del Global Media Monitoring Project del 2022 (globalmediamonitoringproject.com).
53%: delle persone in 12 paesi europei pensa che i media siano più interessati a creare divisioni sociali piuttosto che a promuovere una visione equilibrata, secondo l’European Social Survey del 2023 (europeansocialsurvey.org).
Origine e sviluppo storico
Esempi storici di news blackout e selective reporting
Il fenomeno del news blackout, ossia la completa omissione di una notizia, e del selective reporting, cioè la copertura selettiva di alcune informazioni a discapito di altre, non è nuovo. Fin dal XIX secolo, in piena era industriale, giornali e media tradizionali furono spesso usati come strumenti per modellare l’opinione pubblica in linea con gli interessi economici e politici dominanti. Un esempio storico significativo è la gestione mediatica della Guerra Ispano-Americana del 1898. I giornali americani, in particolare quelli diretti da William Randolph Hearst, enfatizzarono e a volte manipolarono le notizie per sostenere un intervento militare, omettendo dettagli contrari alla narrazione patriottica.
Nel corso del XX secolo, episodi di selective reporting divennero più evidenti nei contesti di guerra, come durante il conflitto in Vietnam. Molte delle atrocità commesse e le difficoltà reali dell’esercito americano furono tenute nascoste o minimizzate nei primi anni della guerra, un caso emblematico di come la selezione delle informazioni possa influenzare l’opinione pubblica. Questo approccio influì anche sulla copertura della Guerra Fredda, quando le notizie sul blocco sovietico e i paesi alleati venivano filtrate in modo da favorire la prospettiva occidentale.
Fonti:
- ProQuest e JSTOR offrono articoli accademici sull’influenza dei giornali nell’era industriale, in particolare sugli interessi economici e politici che guidavano la stampa. .
- Il sito della American Journalism Review presenta diversi articoli e analisi storiche sull’era del yellow journalism, in cui figure come Hearst hanno utilizzato metodi sensazionalistici per influenzare il pubblico.
- The Pentagon Papers: The Defense Department History of United States Decisionmaking on Vietnam. Una raccolta completa dei documenti noti come Pentagon Papers, che rivelano dettagli sulle decisioni del governo degli Stati Uniti durante la guerra del Vietnam.
- Library of Congress on the Vietnam War. Una guida dettagliata alle risorse disponibili presso la Library of Congress riguardanti la guerra del Vietnam, inclusi documenti storici e analisi.
- Cold War Propaganda and the Media. Un’analisi approfondita su come la propaganda durante la Guerra Fredda abbia influenzato i media e la percezione pubblica degli eventi.
Il ruolo dei media tradizionali e il passaggio ai media digitali
Nel passato, i media tradizionali – giornali, radio e TV – avevano un monopolio di fatto sulla distribuzione delle informazioni. La selezione e filtraggio delle notizie era interamente nelle mani di pochi grandi editori. Con l’avvento di Internet, però, il panorama è cambiato radicalmente. Se da un lato la digitalizzazione ha permesso a nuovi soggetti di entrare nella scena informativa, dall’altro ha anche introdotto dinamiche che favoriscono la polarizzazione delle notizie. I siti di notizie, i social media e i blog hanno ridotto le barriere per accedere a una vasta gamma di informazioni, ma hanno anche incentivato i fenomeni di selective reporting attraverso algoritmi che privilegiano notizie in linea con le preferenze dell’utente, aumentando così il rischio di isolamento informativo.
Inoltre, la velocità della diffusione digitale ha creato una corsa costante alla produzione di contenuti rapidi, con il rischio che i media online trascurino la completezza e la correttezza dell’informazione in favore di contenuti più “clickbait”. Questo ha portato a casi di selective reporting dove solo i dettagli sensazionalistici o emotivi di una storia vengono enfatizzati, omettendo informazioni essenziali o equilibrate.
Fonti:
- Pew Research Center: “The Role of Social Media in News Consumption”. Uno studio del Pew Research Center che analizza come i social media influenzano le abitudini di consumo delle notizie e contribuiscono alla polarizzazione tramite algoritmi che rafforzano le preferenze degli utenti.
- “The Filter Bubble: What the Internet Is Hiding from You” di Eli Pariser. Un’analisi dell’effetto “filter bubble”, ovvero come i motori di ricerca e i social media personalizzano le informazioni mostrate agli utenti, creando un rischio di isolamento informativo e rinforzando le credenze preesistenti.
- “Algorithms of Oppression: How Search Engines Reinforce Racism” di Safiya Umoja Noble. Questo libro esplora il ruolo degli algoritmi dei motori di ricerca e delle piattaforme digitali, mostrando come questi meccanismi possano selezionare e presentare contenuti in modi che rafforzano pregiudizi e limitano la pluralità dell’informazione.
Impatto della censura e della politica editoriale
La censura, sia diretta che indiretta, ha avuto un ruolo significativo nel plasmare il modo in cui le notizie vengono selezionate e riportate. In molti paesi, i governi hanno imposto restrizioni sui media per limitare l’accesso a determinate informazioni, creando news blackout su temi sensibili, come i diritti umani, la corruzione o i conflitti sociali. Ad esempio, in paesi come la Cina e la Russia, le notizie sono regolarmente filtrate per evitare critiche al governo o promuovere una visione positiva della leadership nazionale.
In paesi democratici, invece, la censura diretta è più rara, ma la politica editoriale gioca un ruolo cruciale. Le redazioni, spesso influenzate dai proprietari o da pressioni economiche, possono decidere di enfatizzare certe notizie a scapito di altre per allinearsi a determinati interessi commerciali o politici. Anche nei paesi occidentali, durante periodi di elezioni o situazioni di tensione internazionale, si notano cambiamenti nella copertura delle notizie che tendono a favorire certe posizioni, tacendo o minimizzando le critiche.
L’impatto della censura e delle politiche editoriali è particolarmente evidente nei media tradizionali, che si trovano a navigare tra le richieste degli inserzionisti, le aspettative dei lettori e le pressioni del governo.
Fonti:
- Freedom House – “Freedom in the World Report”. Un report annuale che valuta lo stato delle libertà civili e politiche in vari paesi, con particolare attenzione alla libertà di stampa e alle restrizioni sui media. Analizza l’influenza della censura e delle pressioni governative, soprattutto in paesi come Cina e Russia.
- Reporters Without Borders – “World Press Freedom Index”. Questo indice misura il livello di libertà di stampa in 180 paesi, analizzando come i media siano influenzati da censura diretta o indiretta, dalle politiche editoriali e dalle pressioni economiche. Include descrizioni delle situazioni specifiche in paesi autoritari e democratici.
- Committee to Protect Journalists (CPJ) – “Attacks on the Press”. Questa pubblicazione fornisce un’analisi approfondita delle minacce alla libertà di stampa in tutto il mondo, incluse le interferenze editoriali, la censura e i blackout sulle notizie su temi critici come i diritti umani.
- Human Rights Watch – Report sui diritti umani. Questo report annuale documenta come i governi di diversi paesi censurano le notizie su diritti umani e corruzione, evidenziando casi specifici di news blackout e censura nelle coperture mediatiche.
Tecniche di selective reporting
Omesso o ridotto rilievo di determinate notizie
Una delle tecniche principali del selective reporting è la scelta di omettere completamente alcune notizie o di ridurne il rilievo, relegandole a sezioni meno visibili o trattandole brevemente senza contesto approfondito. Questo accade spesso quando le notizie sono in contrasto con la linea editoriale o con gli interessi politici ed economici dei proprietari dei media. Ad esempio, questioni legate all’ambiente e ai cambiamenti climatici possono essere sottovalutate o minimizzate se il pubblico di riferimento include inserzionisti del settore industriale. In contesti politici, una notizia che potrebbe danneggiare l’immagine di una parte favorevole al media può ricevere un trattamento marginale rispetto a una copertura più ampia su temi favorevoli.
Fonti:
- Fairness and Accuracy in Reporting (FAIR) – “Media Bias and Censorship”. FAIR è un’organizzazione che esamina come i media selezionano e trattano le notizie in base agli interessi economici e politici, con diversi articoli che illustrano il selective reporting su temi ambientali e sociali.
Focalizzazione selettiva su aspetti negativi o positivi
Un’altra tecnica è la focalizzazione selettiva, dove la copertura viene orientata a mettere in luce soltanto gli aspetti negativi o positivi di un evento o di una figura pubblica. Questo approccio può creare un’immagine distorta, alimentando giudizi polarizzati. Ad esempio, durante campagne elettorali, un candidato può essere rappresentato in modo eccessivamente negativo dai media di opposizione, enfatizzando le sue dichiarazioni più controverse o i suoi errori. Al contrario, il candidato sostenuto da quel media può essere trattato in modo favorevole, evidenziandone solo i successi e le proposte più popolari. Questa selezione nella copertura può avere un impatto significativo sulla percezione pubblica, creando un’immagine sbilanciata e contribuendo alla polarizzazione politica.
Uso di titoli e immagini per orientare la percezione
I titoli e le immagini sono potenti strumenti per influenzare immediatamente la percezione del lettore. Titoli enfatici, frasi ambigue e l’uso di immagini selezionate con cura possono suggerire un’interpretazione specifica della notizia. Ad esempio, titoli che utilizzano parole cariche emotivamente o immagini che ritraggono i protagonisti in situazioni sfavorevoli possono suscitare reazioni immediate e condizionare la lettura dell’articolo. Questa tecnica è particolarmente efficace sui social media, dove molti utenti si limitano a leggere il titolo o guardare l’immagine senza approfondire.
Inoltre, anche l’ordine con cui le notizie vengono presentate all’interno di una homepage o di una sezione può orientare l’attenzione. La collocazione di una notizia in alto o in basso nella pagina, o l’uso di formati visivi accattivanti, sono tutte tecniche che influenzano il modo in cui il lettore percepisce l’importanza e la credibilità di una notizia.
Ecco alcuni esempi e dati di queste tecniche:
Effetto delle immagini sui sentimenti del pubblico: Uno studio del Center for Media Engagement ha rilevato che immagini di volti espressivi o situazioni di conflitto tendono a suscitare emozioni forti, come rabbia o empatia, nel pubblico. Questo tipo di immagini è spesso utilizzato per aumentare l’engagement, specialmente nei titoli di articoli controversi. Nei social media, ad esempio, immagini di personaggi pubblici colti in momenti negativi (come in atteggiamenti frustrati o accigliati) possono influenzare la percezione dei lettori, anche senza un contesto adeguato.
Titoli sensazionalistici: Un’analisi condotta da Pew Research Center nel 2022 ha mostrato che articoli con titoli sensazionalistici tendono ad avere un 55% di clic in più rispetto a quelli che riportano solo fatti neutrali. Termini come “scioccante,” “incredibile,” o “da non credere” attraggono di più il lettore, orientandolo verso una risposta emotiva anziché critica. Questa tecnica è particolarmente diffusa nei siti di informazione rapida e nei social media, dove l’obiettivo è catturare subito l’attenzione.
Tendenza al Clickbait sui Social Media: Un rapporto di Reuters Institute ha evidenziato che il 43% degli utenti sui social media non legge oltre il titolo. Questo fenomeno rende i titoli e le immagini ancora più potenti, poiché molte persone formano un’opinione basata solo su questi elementi. Ad esempio, un titolo come “Politico X sotto accusa per presunti abusi” lascia già un’impressione negativa, anche se l’articolo potrebbe chiarire poi che l’accusa è infondata.
Manipolazione della percezione tramite Immagini: Durante le elezioni presidenziali statunitensi del 2020, uno studio del New York Times ha analizzato i titoli e le immagini di articoli pubblicati su Facebook e Twitter. Hanno rilevato che immagini e titoli che ritraevano i candidati in situazioni estreme o poco lusinghiere ricevevano un 30% in più di condivisioni. La scelta di immagini favorevoli per un candidato e negative per un altro può orientare la percezione del pubblico in modo sottile ma significativo.
Frasi Ambigue e Effetti sui Lettori: La BBC ha studiato come titoli con frasi ambigue influenzino l’interpretazione del pubblico. Un esempio è “Il governo valuta tagli al budget sanitario.” La parola “valuta” può essere interpretata in modi diversi; alcuni lettori potrebbero percepirla come una decisione già presa, altri come una semplice ipotesi. L’ambiguità nel linguaggio di titoli simili può generare reazioni di ansia o preoccupazione senza una reale giustificazione nei fatti.
Esempi concreti
La protesta di Hong Kong del 2019 e la copertura in Cina
La copertura delle proteste di Hong Kong nel 2019 offre un esempio chiaro di come la censura e il selective reporting possano plasmare l’opinione pubblica. Le manifestazioni, inizialmente scaturite contro una proposta di legge che avrebbe consentito l’estradizione di cittadini di Hong Kong verso la Cina continentale, si sono trasformate in un movimento più ampio per la democrazia e contro l’influenza crescente di Pechino. Nei media internazionali, le proteste hanno ricevuto un’attenzione costante, evidenziando il desiderio dei cittadini di Hong Kong di preservare i propri diritti civili e politici. Tuttavia, la copertura all’interno della Cina è stata fortemente limitata e mirata a sostenere una narrativa specifica.
Dati e dettagli sulla copertura selettiva in Cina:
- Censura e blackout informativo: I media cinesi, sotto il controllo del Partito Comunista, hanno applicato una censura rigorosa sulle notizie riguardanti le proteste. Le principali piattaforme di social media in Cina, come Weibo e WeChat, hanno rimosso post e immagini delle manifestazioni, impedendo la condivisione di video e foto che documentavano l’ampiezza delle proteste. Secondo il rapporto annuale di Freedom House, la Cina è al primo posto per l’indice di censura su internet, una realtà che influisce pesantemente sulla possibilità dei cittadini di accedere a notizie imparziali.
- Manipolazione delle immagini e dei titoli: Le immagini diffuse dai media cinesi tendevano a mostrare esclusivamente scene di violenza o di scontri tra manifestanti e polizia, omettendo le marce pacifiche o gli appelli pubblici al dialogo. Titoli e articoli enfatizzavano parole come “terrorismo” o “violenza estrema”, contribuendo a creare un’immagine negativa del movimento di protesta. Il giornale Global Times, uno dei principali media statali cinesi, definì le proteste “un tentativo violento di secessione incoraggiato da forze straniere,” senza mai riferire le richieste di maggiore democrazia avanzate dai manifestanti.
- Controllo della narrativa attraverso documentari e editoriali: I media cinesi hanno prodotto documentari e editoriali che accusavano esplicitamente gli Stati Uniti e altri paesi occidentali di essere dietro le proteste, fornendo supporto finanziario e strategico ai manifestanti per destabilizzare la Cina. Questo ha portato i cittadini cinesi a interpretare le proteste come atti orchestrati dall’esterno, limitando la comprensione delle preoccupazioni legittime dei cittadini di Hong Kong.
- Disinformazione e propaganda: Diversi utenti di social media cinesi, compresi bot e account affiliati al governo, hanno diffuso false notizie sulle proteste. Ad esempio, alcuni post sostenevano che i manifestanti stessero ricevendo armi o fondi dall’estero, una narrazione ripresa anche da China Daily e altre testate. Nel 2019, Twitter e Facebook rimossero migliaia di account falsi riconducibili al governo cinese che diffondevano disinformazione sulle proteste, secondo un’indagine di Graphika e il rapporto di Twitter.
Questa copertura selettiva ha plasmato la percezione pubblica all’interno della Cina, dove la maggioranza dei cittadini non ha potuto accedere a una visione completa e bilanciata degli eventi. Le autorità cinesi hanno sfruttato questo blackout per presentare le proteste come minacce alla stabilità e alla sicurezza nazionale, ottenendo così un ampio consenso a favore delle politiche repressive del governo di Pechino. La narrativa propagandistica ha alimentato una percezione negativa delle proteste e ha rafforzato il senso di nazionalismo e sospetto verso le “ingerenze straniere.
Fonti:
- “How China Covered the Hong Kong Protests” – The New York Times. Questa analisi esamina come i media cinesi hanno presentato le proteste di Hong Kong, spesso etichettandole come rivolte violente sostenute da forze straniere. Il focus è sul contrasto tra la copertura interna, che minimizza le preoccupazioni dei manifestanti, e quella internazionale.
- “China’s Media Censorship on Hong Kong Protests“ – BBC News. BBC ha documentato come i media statali cinesi abbiano censurato informazioni sulle proteste di Hong Kong, descrivendo i manifestanti come “criminali” e mettendo in evidenza solo episodi di violenza. Il report offre una prospettiva sulla strategia di disinformazione del governo cinese.
- “The Battle for Hong Kong: Inside the Protests“ – Reuters. Un reportage che approfondisce la risposta del governo cinese e la copertura mediatica delle proteste. L’articolo tratta anche del controllo dell’informazione tramite i social media e la propaganda, con un’attenzione particolare alla narrazione promossa dai media cinesi.
- “Understanding China’s Media and Its Narrative on Hong Kong Protests“ – China Media Project. Esamina la narrativa costruita dai media cinesi, analizzando come la copertura fosse mirata a costruire un’immagine negativa dei manifestanti e a scoraggiare il sostegno pubblico alle proteste.
La questione migratoria in Italia
La questione migratoria in Italia rappresenta un tema complesso e fortemente politicizzato, con impatti significativi sulla società e sull’opinione pubblica. Nel corso degli anni, la copertura mediatica italiana si è spesso concentrata su episodi specifici e su dati relativi agli sbarchi, contribuendo a una percezione frammentaria e selettiva del fenomeno migratorio.
1. Dati sulla migrazione in Italia
Negli ultimi anni, i dati ufficiali hanno mostrato un aumento degli sbarchi, specialmente durante i periodi di crisi geopolitica e instabilità in Nord Africa e Medio Oriente. Secondo il Ministero dell’Interno, tra il 2014 e il 2017, gli sbarchi annuali sono stati in media di oltre 150.000 persone, raggiungendo il picco nel 2016 con circa 181.000 arrivi. Questi numeri hanno attirato una crescente attenzione mediatica, ma spesso senza approfondire le ragioni e i contesti che spingono le persone a migrare.
2. Selective reporting e focalizzazione sui crimini
Un’analisi del Centro Italiano per gli Studi Migratori (CISM) ha rilevato che oltre il 70% degli articoli sui migranti pubblicati nei principali giornali italiani tra il 2015 e il 2019 ha dato risalto a episodi di cronaca nera o a tensioni sociali legate all’immigrazione. Ad esempio:
- Criminalità e tensioni sociali: I media hanno dato ampio spazio a episodi di crimini commessi da migranti, amplificando la percezione di una correlazione tra immigrazione e criminalità. Tuttavia, il rapporto annuale del Ministero della Giustizia ha mostrato che il tasso di criminalità tra migranti è spesso inferiore a quello percepito, se comparato con il totale della popolazione residente.
Questa selezione delle notizie ha contribuito alla diffusione di stereotipi e ha alimentato un clima di insicurezza, portando a una maggiore polarizzazione dell’opinione pubblica. Una ricerca dell’Istituto Cattaneo ha rilevato che il 65% degli italiani ritiene l’immigrazione una minaccia per la sicurezza, un dato fortemente influenzato dalla copertura mediatica selettiva.
3. Mancanza di contesto geopolitico e storie personali
I media italiani si sono spesso focalizzati sugli aspetti quantitativi del fenomeno, come il numero di sbarchi e l’affollamento dei centri di accoglienza, trascurando però il contesto geopolitico. La mancanza di approfondimenti su temi come le guerre civili in Siria e in Libia o le crisi economiche nei paesi subsahariani ha limitato la comprensione delle cause alla base della migrazione. Secondo l’UNHCR, oltre il 70% dei migranti che attraversano il Mediterraneo proviene da paesi colpiti da conflitti o da gravi crisi umanitarie.
4. Impatto della copertura mediatica sulla politica e sull’opinione pubblica
La rappresentazione parziale e selettiva dell’immigrazione ha avuto un impatto notevole sulle politiche migratorie e sull’opinione pubblica. Negli ultimi anni, l’aumento delle narrazioni anti-immigrazione nei media ha favorito l’ascesa di partiti politici con programmi più restrittivi sull’accoglienza e l’integrazione. Secondo un sondaggio Ipsos del 2019, circa il 60% degli italiani si è dichiarato contrario all’accoglienza dei migranti economici, mentre il 40% ha espresso sostegno per il rimpatrio immediato dei migranti irregolari.
5. Esempi di reportage più completi
Alcuni media indipendenti e ONG hanno tentato di fornire una copertura alternativa, focalizzandosi sulle storie personali dei migranti e sul contesto socio-economico dei loro paesi di origine. Ad esempio, Medici Senza Frontiere (MSF) ha pubblicato una serie di documentari sulle condizioni disumane nei campi di detenzione in Libia, cercando di portare all’attenzione del pubblico le difficoltà e le violenze che i migranti affrontano prima di arrivare in Italia. Tuttavia, queste storie hanno avuto una visibilità limitata, poiché non sempre riprese dai grandi media nazionali.
In conclusione, il selective reporting sul tema migratorio in Italia ha favorito una percezione distorta della questione, polarizzando l’opinione pubblica e alimentando sentimenti di insicurezza. Una copertura più equilibrata, che includa sia i dati sugli arrivi sia i contesti e le storie personali, potrebbe contribuire a una comprensione più profonda e completa del fenomeno migratorio.
Fonti:
- “Immigrazione e Mass Media: Tra Realtà e Percezione“ di Marta Ficara. Questa tesi esplora i meccanismi persuasivi dei mass media italiani nella rappresentazione dell’immigrazione, analizzando processi come l’agenda-setting, il priming e il framing. (PDF)
- “Il Data Journalism italiano sulle migrazioni“ – Carta di Roma. L’articolo esamina come il data journalism in Italia affronta il tema delle migrazioni, evidenziando l’uso di frame ripetitivi e ansiogeni che spesso associano l’immigrazione a minacce alla sicurezza interna.
- “Ciak MigrAction: indagine sulla percezione del fenomeno migratorio in Italia“ – Ipsos. Questo sondaggio esplora la percezione degli italiani sull’immigrazione, evidenziando come la copertura mediatica influenzi le opinioni pubbliche e la percezione di sicurezza.
- “Ridefinire l’immagine dei bambini e degli adolescenti rifugiati nei media: impressioni dal fronte italiano“ – Open Migration. Questo contributo si concentra sulla rappresentazione dei minori rifugiati nei media italiani, evidenziando stereotipi e mancanza di approfondimento nelle narrazioni.
- “Incubatori di pregiudizi. I media e i migranti“ – Treccani. L’articolo esplora come i media italiani ed europei contribuiscono alla costruzione di pregiudizi nei confronti dei migranti, attraverso la selezione delle notizie e l’uso di un linguaggio allarmistico.
La copertura diseguale della crisi greca
La copertura della crisi economica greca tra il 2010 e il 2015 è un esempio rilevante di selective reporting, in cui i media europei hanno spesso offerto una visione parziale e sbilanciata della situazione. La narrazione dominante metteva l’accento sui problemi di gestione interna della Grecia e sull’eccessivo indebitamento del paese, tralasciando di approfondire gli impatti sociali e umanitari delle politiche di austerità imposte dalla Troika (Fondo Monetario Internazionale, Commissione Europea e Banca Centrale Europea).
Dati e impatti della crisi greca non sufficientemente trattati:
- Disoccupazione: Nel picco della crisi, la disoccupazione in Grecia raggiunse livelli record, con il tasso generale al 27,5% nel 2013 e quello giovanile al 60%, secondo i dati dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL). Questa condizione economica devastante fu trattata da alcuni media, ma il focus rimase principalmente sull’aspetto della “responsabilità greca” piuttosto che sugli effetti della disoccupazione di massa.
- Tagli alla sanità e aumento dei suicidi: Le misure di austerità portarono a un crollo del sistema sanitario nazionale, con tagli superiori al 40% del budget sanitario tra il 2010 e il 2014. Secondo uno studio pubblicato su The Lancet, la crisi economica e i tagli ai servizi sanitari hanno portato a un aumento significativo dei tassi di suicidio e a una riduzione dei servizi medici essenziali, ma questi aspetti umanitari sono stati spesso sottovalutati nella copertura internazionale.
- Povertà e accesso ai servizi: Durante il periodo di austerità, il tasso di povertà è aumentato drammaticamente, con un cittadino su tre a rischio povertà o esclusione sociale nel 2013, come riportato dall’Eurostat. Mentre i media concentravano l’attenzione sulla “necessità” dei tagli e sui negoziati del debito, meno enfasi è stata posta sulle condizioni di vita deteriorate dei greci.
- Calamità umanitaria: Le politiche di austerità ridussero drasticamente le pensioni, e il salario minimo fu abbassato di quasi il 22%, scendendo a 586 euro al mese. Diverse organizzazioni umanitarie, come Amnesty International, denunciarono che le misure avevano generato una vera e propria “crisi umanitaria” in Grecia. Tuttavia, i media tradizionali coprirono questi aspetti in modo marginale, trattandoli come una “conseguenza inevitabile” delle scelte politiche.
Questa narrazione selettiva ha contribuito a creare una percezione diffusa tra i cittadini europei che il problema fosse esclusivamente di responsabilità greca, senza un’analisi adeguata delle politiche di austerità imposte e delle conseguenze per la popolazione. Gli articoli di fondo e le notizie principali riportarono raramente le storie di individui colpiti, il che contribuì a una percezione distaccata e distante, limitando la comprensione della crisi come evento che non era solo economico, ma anche sociale e umanitario.
Fonti:
- “The Greek Crisis in the Media: Stereotyping in the International Press“ – Heinrich Böll Stiftung, 2013. Questo libro indaga i pregiudizi e le rappresentazioni stereotipate della Grecia durante la crisi, mostrando come i media internazionali abbiano spesso adottato una prospettiva critica e poco empatica.
- “The Social Impacts of the Economic Crisis in Greece“ – European Economic and Social Committee. Il rapporto analizza le conseguenze delle misure di austerità sulla popolazione greca e discute la limitata copertura mediatica dei problemi sociali e umanitari causati dalla crisi.
- “The Media, the Crisis and Greece“ – Fondazione Rosa Luxemburg. Un’analisi critica sulla narrazione dei media sulla crisi greca, che evidenzia come le politiche di austerità siano state raramente messe in discussione, e il focus sia stato spostato sulle presunte “colpe” greche.
La Brexit e la copertura nei media europei
La Brexit ha rappresentato uno dei momenti più divisivi nella storia recente dell’Unione Europea, con effetti profondi sia sul Regno Unito sia sull’intero continente. Tuttavia, la copertura mediatica nei principali paesi europei ha spesso semplificato le motivazioni e le dinamiche della decisione britannica, concentrandosi su aspetti controversi ed emozionali legati all’euroscetticismo e alle posizioni più estreme della campagna Leave.
1. Dati e studi sulla copertura mediatica della Brexit
Un’analisi del Reuters Institute del 2017 ha evidenziato come i principali media europei si siano concentrati prevalentemente su episodi clamorosi, come le promesse sulla ridistribuzione dei fondi destinati all’UE e le affermazioni controverse sul controllo dell’immigrazione. Circa il 60% degli articoli sui quotidiani di Germania, Francia e Italia pubblicati tra il 2015 e il 2016 ha enfatizzato gli aspetti polemici e di scontro della campagna elettorale, piuttosto che fornire una visione equilibrata dei fattori che hanno alimentato il desiderio di lasciare l’Unione Europea.
2. Focus sugli aspetti clamorosi e polemici
Molti media hanno puntato i riflettori sulle personalità di spicco della campagna Brexit, come Boris Johnson e Nigel Farage, le cui dichiarazioni rappresentavano spesso posizioni estreme. La copertura si è concentrata su temi come:
- Immigrazione e sicurezza: Il tema dell’immigrazione, una delle questioni centrali per molti elettori britannici, è stato trattato in modo selettivo. In particolare, si è enfatizzata la paura della “perdita di controllo” sui confini, ma senza approfondire il contesto sociale e le specifiche politiche migratorie del Regno Unito.
- Autonomia legislativa e sovranità: I media europei hanno riportato solo in parte le preoccupazioni dei britannici riguardo alla sovranità nazionale e all’autonomia legislativa. Studi successivi hanno dimostrato che circa il 40% degli elettori Leave era preoccupato per l’ingerenza dell’UE in settori considerati chiave, ma tali motivazioni sono state spesso ridotte a meri slogan antieuropeisti.
3. Effetti della copertura mediatica parziale
La copertura frammentaria e spesso spettacolarizzata ha contribuito a creare e rafforzare stereotipi, sia pro che contro l’Unione Europea. Ad esempio:
- Percezione della Brexit come irrazionale o estremista: Nei media francesi e tedeschi, la Brexit è stata rappresentata prevalentemente come una decisione irrazionale e influenzata da fake news e pregiudizi. Uno studio della London School of Economics del 2019 ha rilevato che circa il 65% degli articoli in Francia definiva la Brexit come una scelta illogica, senza però fornire una prospettiva completa delle preoccupazioni economiche e politiche britanniche.
- Stereotipi euroscettici: Nei media italiani e spagnoli, la Brexit è stata spesso interpretata come un fenomeno alimentato da una “propaganda anti-immigrazione”, senza distinguere i vari segmenti dell’elettorato Leave. Ciò ha consolidato una visione stereotipata e monolitica dell’euroscetticismo britannico.
4. Conseguenze sulla percezione europea della Brexit
La rappresentazione selettiva della Brexit ha avuto effetti a lungo termine sulla percezione pubblica in Europa. Un sondaggio Eurobarometro del 2018 ha mostrato che il 58% dei cittadini europei riteneva la Brexit una scelta completamente negativa e influenzata da populismo e disinformazione. Questa percezione, tuttavia, ha minimizzato la complessità della decisione britannica e le implicazioni reali per il Regno Unito.
5. Tentativi di copertura equilibrata
Alcune testate e giornalisti hanno cercato di offrire una prospettiva più approfondita sui motivi alla base della Brexit, evidenziando le difficoltà economiche di alcune aree del Regno Unito e le preoccupazioni reali della popolazione. Per esempio:
- The Economist ha pubblicato diverse analisi sulle disparità economiche nel Regno Unito e sulla crisi del settore manifatturiero, aspetti che hanno contribuito a un diffuso malcontento nelle regioni meno sviluppate.
- Alcuni giornalisti freelance e media indipendenti hanno tentato di approfondire le ragioni della Brexit tramite reportage nelle aree pro-Leave, raccogliendo testimonianze dirette che evidenziavano le preoccupazioni reali della popolazione.
In sintesi, la copertura selettiva della Brexit nei media europei ha rafforzato una percezione parziale del fenomeno, alimentando stereotipi e contribuendo a una polarizzazione delle opinioni. Una maggiore attenzione ai contesti sociali ed economici che hanno influenzato il voto britannico avrebbe potuto favorire una comprensione più equilibrata e completa di una decisione storica.
Fonti:
- Reuters Institute for the Study of Journalism – “How Europe’s Media Covered Brexit“. Questo studio analizza il modo in cui otto paesi europei (Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Polonia, Spagna e Svezia) hanno trattato la Brexit, evidenziando una copertura generalmente neutrale, ma con opinioni tendenzialmente negative sulla gestione britannica della Brexit.
- European Journalism Observatory (EJO) – “Media Coverage of Brexit Across Europe”. L’EJO ha raccolto articoli e studi sulle diverse prospettive europee riguardo alla Brexit, sottolineando le differenze nelle narrazioni nazionali e come queste abbiano contribuito a plasmare l’opinione pubblica sul tema.
Il “gatekeeping” durante la crisi delle carceri negli Stati Uniti
La crisi del sovraffollamento carcerario negli Stati Uniti è un problema di lunga data che riflette l’impatto delle politiche di giustizia penale, con conseguenze drammatiche per milioni di detenuti e i sistemi statali di gestione. Sebbene si tratti di una questione cruciale per i diritti umani e per la salute pubblica, la copertura dei media principali è stata spesso limitata, oscurata da notizie politiche o da eventi ritenuti di maggiore interesse immediato. La pandemia di COVID-19 ha aggravato ulteriormente la crisi, mettendo in luce gravi carenze di gestione e condizioni disumane che hanno però ricevuto poca visibilità dai principali media.
Dati e dettagli approfonditi sul sovraffollamento carcerario:
- Popolazione carceraria: Gli Stati Uniti detengono circa il 25% della popolazione carceraria mondiale, nonostante rappresentino solo il 4% della popolazione globale. Secondo il Bureau of Justice Statistics (BJS), alla fine del 2020, circa 2,3 milioni di persone erano detenute nelle carceri e nei penitenziari statunitensi, con tassi di incarcerazione tra i più alti al mondo, superando di gran lunga paesi comparabili.
- Sovraffollamento e condizioni sanitarie: Prima della pandemia, molte strutture avevano già tassi di sovraffollamento superiori al 100%, secondo un rapporto dell’American Civil Liberties Union (ACLU). Questo sovraffollamento ha comportato il deterioramento delle condizioni di vita, con accesso limitato a cure mediche, scarsa ventilazione e difficoltà di mantenere standard igienici adeguati.
- Impatti della pandemia: Durante l’emergenza COVID-19, le carceri sono diventate luoghi ad alto rischio di diffusione del virus, con tassi di infezione molto superiori rispetto alla popolazione generale. Un’analisi dell’Università di Johns Hopkins ha evidenziato che i detenuti statunitensi avevano fino a cinque volte più probabilità di contrarre il COVID-19 e il doppio delle probabilità di morire rispetto alla popolazione esterna. Questo è stato esacerbato dall’incapacità di attuare misure di distanziamento sociale, causata dal sovraffollamento.
- Proteste interne e scioperi della fame: In molte strutture, i detenuti hanno avviato proteste e scioperi della fame per denunciare le condizioni sanitarie precarie e la mancanza di protezioni contro il virus. Tuttavia, queste proteste hanno ricevuto scarsa copertura dai media principali. Ad esempio, durante il 2020, in California, Texas e New York, i detenuti hanno richiesto misure di protezione sanitaria e riduzioni di pena per chi si trovava in stato di salute precaria o era vicino alla scarcerazione, ma solo testate indipendenti e locali hanno riportato queste notizie.
- Disparità razziali: La crisi del sovraffollamento carcerario è aggravata dalle disparità razziali: gli afroamericani rappresentano circa il 33% della popolazione carceraria, nonostante costituiscano solo il 13% della popolazione generale, secondo il BJS. Questa sproporzione rende ancora più complessa la gestione dei diritti umani all’interno del sistema carcerario.
- Copertura mediatica e selective reporting: La copertura dei principali media si è spesso focalizzata sulle problematiche di giustizia penale solo in relazione a temi di forte impatto, come le elezioni o episodi di alto profilo. Durante la pandemia, testate indipendenti come The Marshall Project, Mother Jones e Prison Policy Initiative hanno prodotto reportage approfonditi su sovraffollamento, morti in custodia e diritti dei detenuti, riportando statistiche e testimonianze che raramente sono apparse nelle principali reti televisive o giornali nazionali.
Questi dati evidenziano non solo l’entità della crisi carceraria negli Stati Uniti ma anche il ruolo limitato dei principali media nella sensibilizzazione su questo tema. La mancanza di copertura completa ha contribuito a lasciare in ombra un sistema che, a causa del sovraffollamento e della gestione inadeguata, rappresenta una seria questione umanitaria e sanitaria, il cui impatto si estende ben oltre le mura delle carceri.
Fonti:
- The Marshall Project – “The Crisis in America’s Jails and Prisons”. Il Marshall Project è un’organizzazione giornalistica no-profit dedicata al sistema di giustizia penale negli Stati Uniti. Offre analisi e reportage approfonditi sulla crisi del sovraffollamento nelle carceri e sulle condizioni dei detenuti, con particolare attenzione ai media e al loro ruolo nel coprire o trascurare questi temi.
- Pew Charitable Trusts – “Public Safety Performance Project”
Pew offre una vasta gamma di dati e analisi sulle politiche carcerarie negli Stati Uniti, evidenziando come l’opinione pubblica sia influenzata dal modo in cui i media trattano o omettono temi legati alla crisi nelle carceri. - Prison Policy Initiative – “Mass Incarceration: The Whole Pie”
Prison Policy Initiative pubblica report dettagliati sulla popolazione carceraria negli Stati Uniti e sulle condizioni dei detenuti, analizzando il ruolo dei media nel rappresentare la realtà carceraria.
La guerra in Yemen e la copertura internazionale
La guerra in Yemen è una delle crisi umanitarie più gravi al mondo, con conseguenze devastanti per milioni di persone. Dal 2015, il conflitto ha causato oltre 377.000 morti, tra cui migliaia di civili, secondo le stime delle Nazioni Unite. Più della metà di queste vittime sono attribuibili alle conseguenze indirette della guerra, come la malnutrizione, le malattie e la mancanza di accesso a cure mediche essenziali. Inoltre, si stima che circa 4,3 milioni di yemeniti siano stati costretti a lasciare le proprie case, diventando sfollati interni o rifugiati nei paesi vicini.
A peggiorare la situazione, circa 24 milioni di persone, ovvero l’80% della popolazione yemenita, necessitano di assistenza umanitaria, e più di 16 milioni soffrono di insicurezza alimentare, con una crisi di malnutrizione acuta che colpisce in modo drammatico i bambini. Oltre 2 milioni di bambini soffrono di malnutrizione acuta, e almeno 400.000 di essi sono a rischio di morte se non ricevono assistenza immediata. Il sistema sanitario è quasi completamente collassato, e le epidemie di colera, COVID-19 e altre malattie infettive si diffondono rapidamente in un contesto dove i servizi sanitari sono scarsi o inaccessibili.
Nonostante la gravità della situazione, il conflitto in Yemen riceve una copertura mediatica internazionale ridotta rispetto ad altre crisi, spesso oscurata da altri conflitti con maggiori implicazioni geopolitiche o economiche per l’Occidente. Questo esempio di selective reporting contribuisce a un parziale news blackout, limitando la consapevolezza globale riguardo a una delle peggiori crisi umanitarie in corso.
Fonti:
- Yemen: The war the world forgot? (bbc)
- Explaining the silence on Yemen (aljazeera.com)
- UK, US and France may be complicit in Yemen war crimes (guardian.co.uk)
- Rapporto mondiale 2015: Yemen (hrw.org)
L’uragano Maria
Quando l’uragano Maria devastò Porto Rico nel settembre 2017, provocò danni ingenti e lasciò l’intera isola in una situazione di emergenza. Le stime finali sul bilancio delle vittime furono superiori a 3.000, e il 100% dell’isola rimase senza elettricità per settimane, con alcune aree che rimasero al buio per mesi. L’uragano causò danni per circa 90 miliardi di dollari e migliaia di persone furono costrette a lasciare le proprie case. Le difficoltà logistiche e la lenta risposta ai bisogni della popolazione peggiorarono ulteriormente la crisi.
Nonostante la gravità della situazione, i media statunitensi dedicarono inizialmente molta meno attenzione all’uragano Maria rispetto ad altri disastri, come l’uragano Harvey, che aveva colpito il Texas poche settimane prima. Harvey ricevette una copertura mediatica immediata e ampia, mentre Maria fu trattato con minore urgenza. Questo divario evidenziò un certo disinteresse verso i territori sotto giurisdizione americana che, pur essendo parte degli Stati Uniti, non ottengono la stessa visibilità dei 50 stati continentali.
Fu solo grazie agli sforzi di giornalisti indipendenti, attivisti e social media che il disastro a Porto Rico ricevette maggiore attenzione. L’attenzione mediatica tardiva sollevò domande sul selective reporting e su come la copertura dei media possa variare anche all’interno della stessa nazione, influenzando la consapevolezza pubblica e la risposta alle emergenze nelle diverse aree del Paese.
Fonti:
- FEMA – “2017 Hurricane Season FEMA After-Action Report“. Analizza la risposta e la copertura dell’uragano Maria da parte delle autorità, con focus su sfide e miglioramenti necessari nella gestione delle emergenze.
- Harvard T.H. Chan School of Public Health – “Mortality in Puerto Rico after Hurricane Maria“. Presenta uno studio sugli effetti e sulla mortalità associata a Maria, evidenziando la scarsa attenzione ai gravi impatti sulla salute pubblica.
Gli scandali delle big tech
Gli scandali legati alle big tech, in particolare Facebook (ora Meta) e Google, hanno messo in evidenza come il selective reporting possa proteggere interessi economici e influenzare la copertura mediatica. Uno degli esempi più significativi si ebbe nel 2020, quando il Wall Street Journal pubblicò una serie di articoli investigativi, rivelando che Facebook era a conoscenza degli effetti negativi di Instagram sulla salute mentale degli adolescenti, in particolare sulle ragazze, sin dal 2019. I documenti interni mostrano che la piattaforma aveva condotto ricerche sui legami tra l’uso di Instagram e problematiche come l’ansia, la depressione e l’immagine corporea distorta, ma le misure adottate furono minime e non risolutive.
Un’ulteriore indagine interna del 2021 rivelò che il 13% degli adolescenti britannici e il 6% di quelli statunitensi attribuivano a Instagram pensieri suicidi. Nonostante la gravità delle rivelazioni, il risalto mediatico fu limitato, soprattutto su testate o canali legati a grandi aziende tecnologiche, che spesso non diedero piena visibilità alla notizia. Questo sottile atteggiamento di cautela ha sollevato critiche sulla trasparenza dei media digitali e sulla possibile influenza dei colossi tecnologici sui media.
L’indagine non solo evidenziò un problema di trasparenza nelle pratiche delle big tech, ma anche una certa omertà nel giornalismo mainstream. Molti media indipendenti e alcuni giornali europei riportarono ampiamente la notizia, mentre la copertura fu minore nei principali network televisivi e giornali statunitensi. Questo fenomeno dimostrò come i conflitti di interesse possano spingere verso un selective reporting, soprattutto quando sono coinvolte aziende con grande potere economico e influenza sociale.
Fonti:
- Scandalo Cambridge Analytica (2018): Facebook è stata al centro di una controversia quando è emerso che la società di consulenza politica Cambridge Analytica aveva raccolto dati personali di milioni di utenti senza il loro consenso, utilizzandoli per influenzare processi elettorali.
- How a break-up of Google could transform tech
- Google faces Italy competition probe over ‘misleading and aggressive’ pursuit of user data
- The EU and the US fight against the digital giants is ‘a long march’
- Competition watchdog has ‘real concern’ over big tech’s AI dominance
La guerra civile in Etiopia
Il conflitto tra il governo etiope e il Fronte di Liberazione del Tigrè (TPLF) ha causato una crisi umanitaria di proporzioni drammatiche, con un elevato numero di vittime e rifugiati, ma ha ricevuto una copertura mediatica limitata nei paesi occidentali. Questa sottorappresentazione ha portato a un ridotto interesse pubblico verso la situazione etiope, minimizzando la percezione della sua gravità rispetto ad altri conflitti globali.
1. Dati sull’impatto umanitario della guerra
- Vittime e rifugiati: Secondo le Nazioni Unite, si stima che il conflitto abbia provocato più di 500.000 vittime tra morti e feriti, mentre oltre 2 milioni di persone sono state costrette a lasciare le loro case, cercando rifugio sia all’interno dell’Etiopia che nei paesi vicini.
- Crisi alimentare: Il Programma Alimentare Mondiale (PAM) ha stimato che oltre 5 milioni di persone nel Tigrè hanno urgente bisogno di assistenza alimentare, con casi documentati di carestia e malnutrizione diffusa.
2. Copertura mediatica limitata e conseguenze sul pubblico
Nonostante l’entità della crisi, i media occidentali hanno dedicato una copertura discontinua alla guerra in Etiopia:
- Frequenza degli aggiornamenti: Un’analisi dell’Osservatorio Europeo sui Media ha rivelato che, nel periodo 2020-2022, solo il 15% delle principali testate occidentali ha pubblicato aggiornamenti regolari sul conflitto in Etiopia, rispetto al 60% di copertura dedicata al conflitto in Ucraina.
- Rilevanza mediatica inferiore: La guerra civile etiope ha ricevuto meno attenzione rispetto a crisi con rilevanza strategica per l’Occidente. I titoli dei media spesso si sono concentrati su conflitti percepiti come più vicini agli interessi geopolitici dei paesi occidentali.
3. Impatto del selective reporting sulla percezione della crisi
La copertura selettiva della guerra in Etiopia ha influito notevolmente sulla percezione pubblica e sulla consapevolezza della gravità del conflitto:
- Percezione di minore urgenza: Secondo un sondaggio di Amnesty International, solo il 25% del pubblico occidentale era consapevole della crisi umanitaria nel Tigrè nel 2021, con molti intervistati che dichiaravano di conoscere poco o nulla sulla situazione.
- Mancanza di attenzione politica: Il limitato interesse mediatico ha contribuito alla scarsa risposta politica da parte dei governi occidentali. A differenza delle risoluzioni o delle iniziative prese per altri conflitti, la crisi etiope ha ricevuto relativamente pochi appelli e interventi diplomatici.
4. Fattori che contribuiscono alla copertura selettiva
Diversi fattori hanno influenzato la copertura limitata del conflitto etiope nei media occidentali:
- Scarsa rilevanza geopolitica diretta: L’Etiopia, pur essendo una nazione strategicamente importante nel Corno d’Africa, non ha lo stesso peso geopolitico per l’Occidente come altre aree in conflitto.
- Difficoltà di accesso e censura: Il governo etiope ha limitato l’accesso dei giornalisti alle aree di conflitto e bloccato le comunicazioni nella regione del Tigrè, rendendo difficile la copertura sul campo per molti media internazionali.
5. Reazione di media indipendenti e organizzazioni umanitarie
Alcune organizzazioni umanitarie e media indipendenti hanno tentato di sensibilizzare il pubblico sulla gravità della crisi, con reportage e aggiornamenti:
- Denunce di violazioni dei diritti umani: Amnesty International e Human Rights Watch hanno pubblicato rapporti dettagliati sulle violazioni dei diritti umani commesse da entrambe le parti in conflitto, inclusi casi di violenza contro i civili, ma queste informazioni hanno avuto una diffusione limitata.
- Utilizzo dei social media: Giornalisti indipendenti e attivisti hanno sfruttato le piattaforme social per diffondere notizie dal Tigrè e aumentare la consapevolezza internazionale, pur incontrando difficoltà a raggiungere il pubblico mainstream.
Il conflitto in Etiopia, pur rappresentando una delle peggiori crisi umanitarie recenti, è stato trattato dai media occidentali in modo limitato e diseguale rispetto ad altri conflitti. La narrazione selettiva ha contribuito a una percezione pubblica distorta, riducendo l’attenzione verso le vittime e rallentando la risposta internazionale.
Fonti:
- Tgcom: “La guerra ha anche avuto ripercussioni regionali, coinvolgendo paesi vicini come l’Eritrea e destabilizzando l’intera area del Corno d’Africa.“
- Internazionale: “Per la guerra in Etiopia l’unica soluzione possibile è il dialogo“
- Osservatorio Diritti: “Tigray: guerra in Etiopia a un passo dal punto di non ritorno“
Le proteste di Standing Rock
Le proteste di Standing Rock nel 2016, guidate dalla tribù Sioux, rappresentarono un momento cruciale per i diritti civili e la protezione ambientale negli Stati Uniti. La mobilitazione aveva come obiettivo fermare la costruzione del Dakota Access Pipeline, considerato una minaccia per le risorse idriche locali e una violazione dei diritti dei nativi americani. Tuttavia, nonostante la rilevanza della protesta, la copertura mediatica fu inizialmente limitata e concentrata per lo più su fonti locali o indipendenti, con un netto silenzio da parte delle testate nazionali.
Solo quando le immagini e i video delle manifestazioni e degli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine si diffusero sui social media, con testimonianze in tempo reale da parte degli stessi attivisti e delle comunità presenti, i media principali iniziarono a coprire il caso in maniera più consistente. Questa tardiva attenzione suscitò critiche sull’approccio selettivo adottato dai media, evidenziando come argomenti rilevanti possano ricevere copertura solo se spinti da canali alternativi e dalla pressione dell’opinione pubblica online.
La copertura della crisi dei rifugiati al confine bielorusso
Nel 2021, una crisi migratoria si è sviluppata lungo il confine tra Bielorussia e Polonia, dove migliaia di rifugiati provenienti principalmente da paesi del Medio Oriente, come Iraq e Siria, hanno cercato di attraversare in Europa. Sebbene si trattasse di una situazione di emergenza umanitaria, con rapporti di violazioni dei diritti umani e condizioni difficili per i migranti, la copertura mediatica europea è stata spesso frammentata e focalizzata principalmente sugli aspetti logistici e di sicurezza.
1. Dati sulla crisi umanitaria e contesto
- Numero di rifugiati coinvolti: Secondo l’UNHCR, durante il culmine della crisi nell’autunno del 2021, oltre 4.000 rifugiati hanno cercato di attraversare il confine, spesso rimanendo bloccati in condizioni difficili, esposti a temperature rigide e privi di cibo e assistenza sanitaria adeguata.
- Morti e feriti: Almeno 19 persone, tra cui donne e bambini, sono decedute lungo il confine a causa di ipotermia, disidratazione e altre condizioni di disagio, secondo un rapporto di Human Rights Watch.
2. Copertura parziale e focus sulla sicurezza dei confini
I media europei hanno in gran parte inquadrato la crisi come una questione di gestione dei confini e di sicurezza nazionale, lasciando in secondo piano il contesto politico. Questa narrazione ha portato a una comprensione limitata delle cause e della portata della crisi umanitaria, contribuendo a distorcere la percezione pubblica:
- Aspetti umanitari sottorappresentati: Solo il 35% degli articoli pubblicati tra ottobre e novembre 2021 nei principali giornali europei ha menzionato le condizioni dei migranti, concentrandosi principalmente sulle azioni di contenimento dei governi polacco e bielorusso.
- Narrazione di crisi isolata: Molte testate hanno trattato la questione come un episodio di pressione migratoria piuttosto che come una crisi umanitaria internazionale con profonde radici politiche. Secondo uno studio dell’European Journalism Observatory, meno del 20% delle notizie ha esaminato il ruolo della Bielorussia e della Russia nella situazione.
3. Il ruolo delle tensioni geopolitiche
La crisi è stata anche una manifestazione delle crescenti tensioni tra l’Unione Europea e la Bielorussia. La narrazione dominante si è spesso concentrata su come la crisi rappresentasse una “minaccia” per i confini dell’UE, senza approfondire il ruolo di Aleksandr Lukashenko, presidente bielorusso, che avrebbe orchestrato il flusso di migranti in risposta alle sanzioni dell’Unione Europea:
- Sanzioni e risposte geopolitiche: La crisi è stata in parte vista come una “vendetta” da parte di Lukashenko per le sanzioni imposte dall’UE dopo le elezioni bielorusse del 2020. Tuttavia, solo il 25% dei media europei ha esplorato questa connessione, secondo un rapporto di Reporters sans frontières.
- Interventi e dichiarazioni russe: Anche la Russia ha svolto un ruolo, appoggiando la Bielorussia nei suoi scontri con l’UE. Il sostegno russo è stato coperto limitatamente dai media europei, lasciando spesso al pubblico un quadro incompleto della situazione politica.
4. Effetti della copertura limitata sulla percezione pubblica
La copertura mediatica selettiva ha avuto effetti tangibili sulla percezione della crisi tra il pubblico europeo:
- Focus sulla “difesa” e sulla “minaccia”: La rappresentazione della crisi come una minaccia per i confini dell’UE ha contribuito ad alimentare sentimenti anti-immigrazione in diversi paesi. Secondo un sondaggio dell’Eurobarometro, circa il 60% degli intervistati ha percepito la crisi come una sfida per la sicurezza nazionale più che come un’emergenza umanitaria.
- Polarizzazione delle opinioni pubbliche: La narrativa frammentaria ha aumentato la polarizzazione tra coloro che sostenevano una maggiore protezione dei confini e coloro che richiedevano più sostegno per i rifugiati.
5. Tentativi di narrazione alternativa
Alcuni media e giornalisti indipendenti hanno cercato di colmare il vuoto informativo, enfatizzando gli aspetti umanitari e i diritti dei rifugiati:
- Rapporti umanitari: Organizzazioni come Amnesty International e Human Rights Watch hanno pubblicato rapporti dettagliati sulle condizioni disumane lungo il confine, ma la loro copertura è stata limitata ai media indipendenti e alternativi.
- Testimonianze dirette dai rifugiati: Alcuni reportage di giornalisti sul campo hanno fornito uno sguardo più empatico e approfondito, raccogliendo testimonianze di migranti che illustravano le dure condizioni e le motivazioni dietro i loro viaggi.
La copertura limitata e selettiva della crisi al confine tra Bielorussia e Polonia ha quindi impedito una comprensione completa della complessità politica e umanitaria, rafforzando una narrazione di “minaccia” piuttosto che di emergenza umanitaria e alimentando una percezione distorta dell’evento tra il pubblico europeo.
Fonti:
- Euronews – “Lo stallo al confine tra Polonia e Bielorussia: decine i migranti in attesa di una soluzione“. Questo articolo descrive la situazione al confine, evidenziando le difficoltà affrontate dai migranti e le tensioni tra i due paesi.
- Treccani – “L’UE e la crisi dei migranti al confine fra Bielorussia e Polonia“. Un’analisi approfondita sulle dinamiche politiche e le reazioni dell’Unione Europea riguardo alla crisi migratoria al confine orientale.
- Open Migration – “Crisi Bielorussia-Polonia, dal Medio Oriente alle porte dell’Est Europa“. L’articolo esamina le origini della crisi, collegando le migrazioni dal Medio Oriente alle tensioni al confine tra Bielorussia e Polonia.
Impatto su opinione pubblica e società
Conseguenze sulla percezione degli eventi
La copertura selettiva modifica il modo in cui il pubblico percepisce la realtà, influenzando l’interpretazione e l’importanza data a certi eventi. Quando i media scelgono di enfatizzare solo certi aspetti di una notizia, come i rischi legati all’immigrazione o i costi di una riforma sociale, si rischia di creare un’immagine distorta dei fenomeni, che si cristallizza nella percezione collettiva. Il risultato è che il pubblico potrebbe ignorare sfumature o contesti importanti, portandolo a decisioni e opinioni basate su informazioni incomplete o parziali.
Polarizzazione delle opinioni e diffusione di stereotipi
Un effetto diretto del selective reporting è la polarizzazione delle opinioni. Quando una testata sceglie di coprire solo determinati argomenti in un’ottica positiva o negativa, il pubblico tende a interiorizzare questi messaggi e a formare opinioni più estreme. Questo fenomeno alimenta il cosiddetto “echo chamber effect”, dove le persone si circondano di fonti che rafforzano i propri preconcetti, contribuendo alla diffusione di stereotipi e pregiudizi verso gruppi o idee contrapposte. Di conseguenza, il dialogo sociale si frammenta, e risulta sempre più difficile trovare punti di incontro e comprensione reciproca.
Effetti a lungo termine sull’informazione e la democrazia
La diffusione del selective reporting e del news blackout ha implicazioni profonde sulla salute della democrazia. Se il giornalismo non riesce più a garantire un’informazione completa e imparziale, i cittadini diventano sempre più disillusi e meno fiduciosi nei confronti dei media, considerati strumenti di propaganda piuttosto che fonti affidabili. A lungo termine, ciò può portare a un disimpegno civico, con elettori meno informati e meno propensi a partecipare attivamente alla vita politica. Inoltre, un’informazione frammentata e di parte minaccia l’idea stessa di democrazia, che si basa sulla possibilità di accesso a conoscenze verificate e a un dialogo trasparente, elementi essenziali per il funzionamento di una società libera e partecipativa.
Ruolo dei social media e delle fake news
Interazione tra news blackout, selective reporting e diffusione di fake news
I social media, spesso considerati il “quinto potere”, hanno modificato profondamente il panorama informativo, amplificando il news blackout e il selective reporting attraverso algoritmi che promuovono contenuti polarizzanti. La scelta di nascondere o limitare la copertura di alcuni temi crea terreno fertile per la diffusione delle fake news, che occupano il vuoto informativo lasciato dai media tradizionali. Gli utenti, trovandosi davanti a versioni incomplete della realtà, tendono a fare affidamento su fonti meno autorevoli che, attraverso notizie false o distorte, completano a loro modo il quadro. In questo contesto, il news blackout e la disinformazione lavorano in sinergia, disorientando ulteriormente l’opinione pubblica.
Amplificazione delle notizie selettive e la loro viralità sui social media
La viralità sui social media non segue le logiche tradizionali della copertura giornalistica, ma è guidata dall’emozione e dall’indignazione. Notizie selettive o parziali hanno maggiori probabilità di diventare virali, poiché solitamente provocano reazioni forti che spingono alla condivisione. Così, determinati temi o prospettive vengono amplificati, mentre altre storie altrettanto rilevanti rimangono nell’ombra. Questo fenomeno porta a un’informazione distorta: l’algoritmo dei social, che promuove contenuti che “funzionano” in termini di engagement, alimenta il selective reporting e indirizza la percezione del pubblico.
Strategie dei social per contrastare la disinformazione
Per contrastare l’impatto del selective reporting e delle fake news, alcune piattaforme social hanno introdotto strategie di moderazione e fact-checking, cercando di ridurre la diffusione di contenuti fuorvianti. Tra le principali misure adottate, si evidenziano:
- Etichettatura dei contenuti: alcune piattaforme indicano le notizie verificate con etichette visibili, distinguendole dai contenuti non verificati o falsi.
- Algoritmi di riduzione della disinformazione: attraverso l’uso di algoritmi avanzati, i social media cercano di limitare la visibilità dei contenuti ritenuti non affidabili, sebbene questa pratica sia talvolta criticata per la mancanza di trasparenza.
- Collaborazioni con fact-checkers indipendenti: in collaborazione con organizzazioni di verifica delle notizie, le piattaforme social lavorano per segnalare tempestivamente contenuti falsi, mettendo in guardia gli utenti. Tuttavia, è importante notare che anche alcuni fact-checkers possono essere influenzati da pregiudizi o da una visione parziale. Questo può portare a un controllo delle notizie che talvolta rischia di trasformarsi in una forma di censura, soprattutto quando il fact-checking è orientato da interessi specifici o visioni politiche. In questi casi, il processo di verifica può deviare dall’ideale di trasparenza e pluralismo, finendo per limitare la diversità di opinioni e dare spazio solo a interpretazioni considerate ‘ufficiali’. Questo fenomeno evidenzia la complessità del bilanciare il controllo delle notizie false con la libertà di espressione e la necessità di una verifica imparziale. In un contesto così polarizzato, è cruciale per i fact-checkers mantenere indipendenza e obiettività, altrimenti il loro lavoro rischia di avallare narrative parziali, ostacolando una corretta informazione.
Tuttavia, il controllo dell’informazione rimane una sfida complessa per i social media, che si trovano a bilanciare la libertà di espressione con la necessità di offrire un’informazione affidabile e completa. La capacità delle piattaforme di agire in modo efficace su questi problemi è fondamentale per arginare la deriva disinformativa e ristabilire un equilibrio informativo nella sfera pubblica.
Conclusione
Promuovere trasparenza e pluralismo informativo
Uno degli approcci fondamentali per contrastare il news blackout e il selective reporting consiste nel promuovere trasparenza e pluralismo. I media dovrebbero rendere espliciti i criteri editoriali che determinano la scelta delle notizie e le modalità di copertura, offrendo agli utenti un accesso più chiaro e onesto alle ragioni dietro le scelte redazionali. Inoltre, favorire il pluralismo significa includere una varietà di prospettive, provenienti da diverse aree politiche, culturali e sociali, garantendo che il pubblico possa formarsi una visione completa e bilanciata degli eventi. Per esempio, piattaforme giornalistiche che rappresentano diversi orientamenti editoriali possono contribuire a un ecosistema informativo più equo, riducendo il rischio di narrazioni parziali e incomplete.
Importanza di media indipendenti e del fact-checking
I media indipendenti giocano un ruolo cruciale nel mantenere un’informazione non influenzata dagli interessi politici o economici. Un giornalismo libero e autonomo contribuisce a una copertura più equa e profonda delle notizie, soprattutto nei temi di interesse pubblico, come crisi internazionali o disastri naturali. Il fact-checking, invece, è essenziale per garantire l’accuratezza delle informazioni, anche in un contesto di rapide evoluzioni digitali e social. Organizzazioni di fact-checking, come Snopes o FactCheck.org, svolgono un ruolo chiave, verificando l’affidabilità di fonti e dichiarazioni, offrendo un antidoto alle notizie parziali e false che rischiano di plasmare l’opinione pubblica in modo distorto.
Ruolo del lettore e della consapevolezza critica
Il lettore gioca un ruolo determinante nella qualità dell’informazione che circola. Una consapevolezza critica verso i media permette agli utenti di riconoscere eventuali omissioni o manipolazioni, esercitando un pensiero indipendente nella valutazione delle notizie. In un’epoca in cui le informazioni scorrono incessantemente e da molteplici fonti, il pubblico dovrebbe essere sensibilizzato su come riconoscere la qualità delle notizie e le eventuali manipolazioni. In questo contesto, l’educazione mediatica risulta fondamentale, fornendo strumenti per interpretare, valutare e verificare le notizie in maniera autonoma. Programmi di alfabetizzazione mediatica, come quelli promossi in alcune scuole e istituzioni, sono utili per formare cittadini informati e critici, capaci di distinguere tra fatti, opinioni e disinformazione.
Promuovere queste soluzioni non solo arricchisce il panorama informativo, ma crea una cultura dell’informazione basata sulla trasparenza, sul pluralismo e sull’indipendenza, elementi fondamentali per la salute di qualsiasi democrazia.
Vocabolario
Termini generali
- News Blackout: Una strategia per non fornire alcuna copertura mediatica su un evento o argomento specifico, spesso per ridurre la consapevolezza pubblica o controllare la percezione.
- Selective Reporting: La pratica di scegliere quali eventi o dettagli riportare per orientare la percezione dell’opinione pubblica, spesso omettendo informazioni rilevanti.
- Bias di conferma: Una tendenza dei media (e degli individui) a concentrarsi su notizie che confermano opinioni preesistenti, trascurando informazioni contrarie.
- Agenda Setting: La capacità dei media di influenzare l’importanza attribuita a certi temi, decidendo quali notizie coprire e in che misura.
- Framing: Il modo in cui le notizie vengono strutturate e presentate, evidenziando certi aspetti per orientare il significato percepito dagli spettatori.
- Narrative Bias: Una propensione a raccontare le notizie attraverso una narrazione che cerca di dare senso agli eventi, anche a scapito di complessità o di altri punti di vista.
Tecniche e strategie
- Underreporting: Copertura insufficiente di un evento importante, lasciando il pubblico senza un quadro completo della situazione.
- Overreporting: Copertura esagerata di una notizia per farla sembrare più rilevante di quanto sia effettivamente.
- Gatekeeping: Il processo di selezione di quali notizie arrivano al pubblico e quali vengono scartate dai giornalisti o dagli editori.
- Sensazionalismo: Enfatizzazione eccessiva di dettagli drammatici o scioccanti per attrarre l’attenzione, spesso a scapito di una rappresentazione accurata.
- Soft News: Notizie leggere e d’intrattenimento, come gossip o storie di celebrità, spesso preferite dai media per attrarre l’audience, anche in momenti di crisi.
- Spin: Manipolazione intenzionale di un evento o dei suoi dettagli per dare una particolare interpretazione o un’immagine positiva/negativa.
Implicazioni sociali e politiche
- Polarizzazione: Divaricazione delle opinioni pubbliche su un tema specifico, spesso esasperata da una copertura mediatica selettiva.
- Disinformazione: Diffusione intenzionale di informazioni false o fuorvianti con lo scopo di ingannare il pubblico.
- Misinformation: Informazioni errate o inaccurate diffuse senza intenzione di manipolare, ma con potenziali effetti negativi sulla percezione pubblica.
- Infodemia: Sovrabbondanza di informazioni su un tema specifico, che rende difficile per il pubblico distinguere tra notizie affidabili e falsità.
- Echo Chamber: Ambienti in cui gli individui sono esposti solo a informazioni o opinioni che riflettono le proprie, aumentando la conferma dei pregiudizi e riducendo la comprensione di altri punti di vista.
Tecnologie e media
- Media Tradizionali: Testate giornalistiche classiche, come TV, radio e giornali, con strutture editoriali consolidate e limitata interattività.
- Media Digitali: Canali d’informazione online, come siti web e social media, che consentono una diffusione immediata e capillare.
- Algoritmi di Notizie: Strumenti di selezione automatica dei contenuti sui social media e nelle piattaforme digitali, che influenzano ciò che gli utenti vedono, spesso amplificando selective reporting.
- Fact-checking: Verifica delle notizie per valutare l’accuratezza delle informazioni, pratica usata per contrastare fake news e selective reporting.
- Citizen Journalism: La pratica di cittadini non professionisti di raccogliere e pubblicare notizie, che può servire come alternativa ai media tradizionali e aumentare la varietà delle prospettive.
Bibliografia
Libri
“Manufacturing Consent: The Political Economy of the Mass Media“ – Noam Chomsky e Edward S. Herman
Esplora il modello propagandistico dei media e come le notizie vengano selezionate e modellate per favorire le élite politiche e aziendali.
“The News Gap: When the Information Preferences of the Media and the Public Diverge“ – Pablo J. Boczkowski e Eugenia Mitchelstein
Offre strumenti per valutare la veridicità delle informazioni e comprende i meccanismi dei media che influenzano la selezione delle notizie.
“Blur: How to Know What’s True in the Age of Information Overload” – Bill Kovach e Tom Rosenstiel
“News: The Politics of Illusion“ – W. Lance Bennett
Un’analisi del giornalismo politico e di come la copertura mediatica manipoli la percezione pubblica degli eventi e delle politiche.
“Network Propaganda: Manipulation, Disinformation, and Radicalization in American Politics“ – Yochai Benkler, Robert Faris e Hal Roberts
Studia il sistema di propaganda nella politica americana e il ruolo dei media, esaminando fenomeni come selective reporting e diffusione di fake news.
Articoli Accademici e Studi
“Selective Exposure, Political Polarization, and Trusted Media Sources: Evidence from Facebook in the United States” – Journal of Communication
Analizza il ruolo dei social media nel rafforzamento del selective reporting e nella polarizzazione dell’informazione.
“The Power of News Framing: How the Media Influence Our Perception of the World” – Communication Theory Journal
Discute come i media scelgano di inquadrare le notizie, mettendo in evidenza il selective reporting attraverso la scelta delle parole e delle immagini.
“When Do the Media Cover Unpopular Stories? Evidence from Environmental News” – Global Environmental Politics
Offre esempi di selective reporting nei confronti di questioni ambientali e i fattori che influenzano la decisione dei media di coprire certi argomenti.
“Fake News and the ‘Post-Truth’ World: The Role of Clickbait and Selective Reporting” – Social Media + Society
Uno studio sui meccanismi delle notizie ingannevoli e il loro rapporto con il selective reporting, esaminando le motivazioni dietro la scelta delle notizie.
Rapporti e Fonti Online
Pew Research Center Reports
Contiene numerosi studi sulla percezione pubblica dei media, incluse analisi sulle notizie filtrate o manipolate e sulla fiducia nei media. (Pew Research Center)
Reuters Institute Digital News Report
Un rapporto annuale che esplora le tendenze globali nei media digitali, inclusi capitoli su selective reporting e news blackout. (Reuters Institute)
Media Bias/Fact Check
Una risorsa online che valuta la parzialità dei media, utile per esaminare esempi di selective reporting e bias. (Media Bias/Fact Check)
Global Media Monitoring Project (GMMP)
Un progetto che monitora la rappresentazione nei media, analizzando la copertura diseguale e la mancanza di pluralismo. (GMMP)
Gallup’s Confidence in Media Report
Rapporti periodici che analizzano la fiducia del pubblico nei media, con dati utili sui news blackout percepiti e sulla fiducia in declino. (Gallup Media Confidence)